Cinque domande con Marco Amerighi
In quanto biblioteca ci piace scovare le novità più fresche e le storie più accattivanti.
Questa settimana abbiamo intervistato per voi Marco Amerighi, in occasione del suo ultimo romanzo Randagi.
Ospite da poco al Salone del Libro e intervistato da Teresa Ciabatti, Marco vuole trasmettere con questo libro una sensazione di libertà e ricerca di sé. Capita proprio a tutti di sentirsi persi e questa storia è il modo migliore per non sentirsi soli. Un racconto che contiene la questione più importante: il coraggio di esplorarsi.
Ma scopriamone di più con le nostre 5 domande rivolte direttamente all’autore!
Ciao Marco! Vedendo ciò che posti online e l’enfasi con cui ne parli, si capisce come sia fondamentale il tuo rapporto con la scrittura. Da dove nasce questa tua passione e qual è stato il percorso che ti ha permesso di scrivere 4 libri?
La mia passione per la scrittura nasce in prima istanza da quella per la lettura, che ho sempre avuto sin da ragazzo, ed è diventata un percorso e una professione solo molto tempo dopo, in età adulta, più precisamente nel momento in cui ho vinto un concorso di Dottorato in letteratura spagnola e ho preso a trascorrere le mie giornate in una buia e silenziosa biblioteca di filologia romanza. Sarà stata l’influenza di quella muraglia di libri o l’insoddisfazione che mi provocava redigere articoli di atti di convegni e recensioni, ma è stato allora che ho iniziato a sentire il bisogno di smettere di commentare i testi altrui e scriverne io dei miei. Da allora non ho più smesso. Tuttavia, anche oggi per me la lettura viene sempre prima della scrittura. Mi reputo un lettore e, più accidentalmente diciamo, uno scrittore.
Randagi è il tuo ultimo libro uscito recentemente. Il protagonista Pietro ha una vita per niente banale: si dimena tra una famiglia piuttosto caotica e la ricerca di se stesso. Oltre a lui chi sono gli altri “randagi” e perché li definisci così?
Pietro Benati è il protagonista principale di Randagi: è un ragazzo ordinario, senza talenti, senza ambizioni, con una fifa tremenda verso gli altri e il mondo che lo circonda. Se potesse, non farebbe altro che trascorrere le giornate rinchiuso in camera a suonare la chitarra e a giocare ai videogiochi. Ed è proprio quello che fa, quando uno scandalo travolge la sua famiglia: si ritira dal mondo sperando così di mettersi in salvo dalla vergogna. Ci riuscirebbe, forse, se suo fratello Tommaso – il contrario di Pietro: talentuoso nello sport e genio della matematica – non lo costringesse con l’inganno a volare a Madrid e a riprendere le redini della sua vita.
Lì, a Madrid, Pietro incontra gli altri due randagi protagonisti del romanzo [e raffigurati in copertina dall’illustratore Giuseppe Quattrocchi]: Laurent, surfista professionista costretto ad abbandonare le gare per un grave infortunio e ora precario nottambulo e drogato fino al midollo che alterna turni da Starbucks a nottate da gigolò; e Dora, una splendida, irascibile italo-spagnola che è arrivata a Madrid alla ricerca della verità su suo padre, scomparso anni prima.
Tutti loro tre sono personaggi che girano a vuoto, senza sapere cosa fare o dove cercare un senso. Attorno a loro non ci sono maestri, non c’è uno Stato, non c’è neanche un tessuto di relazioni che li faccia sentire a casa. E per questo sono costretti a vivere raminghi, randagi, costruendosi poco a poco una nuova dimensione famigliare: mobile, disordinata, a tratti incomprensibile ma piena di vitalità.
In un tuo commento al romanzo parli del fatto che questo sia il libro più libero che tu abbia mai scritto. Ed è proprio il concetto di libertà che accomuna i personaggi principali, a partire dal protagonista in costante scoperta di quella che può essere la sua strada. Esiste un modo per trovare se stessi negli altri e in quello che si fa? E la libertà come si conquista?
Non esiste una ricetta né una bacchetta magica per raggiungere la libertà. È piuttosto un cammino che si compie giorno per giorno, che passa dal rifiutare un mondo che ci vuole diversi e dall’accettazione per ciò che invece siamo, con tutte le nostre paure, manchevolezze o incapacità. Quando si scrive, essere liberi significa cercare di tracciare una strada nuova, che proprio per questo può inibirci o farci paura; è sempre più comodo risiedere all’ombra dei maestri su cui ci siamo formati.
Io, in questo libro, dopo aver riletto e ristudiato tanti narratori della tradizione toscana – da Tozzi a Bilenchi, da Collodi a Cassola, da Genovesi e Veronesi – ho cercato di uscire allo scoperto e di dare un salto in un territorio sconosciuto: con la consapevolezza che sarebbe stato di certo molto più spaventoso e rischioso ma anche più emozionante e, appunto, più libero.
In un periodo in cui tutto il mondo è stato rinchiuso a casa a causa della pandemia, i libri sono stati in grado di farci evadere dalla realtà. E tu con questo romanzo dove volevi trasportare il lettore?
Questo romanzo è il mio inno alla fantasia, all’immaginazione. Dopo decenni in cui le storie vere – memoir, diari, autofiction – hanno imperversato sugli scaffali di ogni libreria, io sentivo il bisogno di recuperare il gusto nel raccontare una storia di invenzione, una storia di quelle ariose, imprevedibili, gonfie come un fiume, in cui nasceva e cresceva una famiglia che attraversava ambienti ed epoche, lotte e contesti sociali. Volevo far entrare il lettore nella vita di alcuni personaggi, permettendogli di conoscerli e frequentarli a lungo, e aspirando, chissà, a anche a diventarne amici per sempre.
Vorremmo, per finire, chiederti un suggerimento di lettura (o visione) che ti ha segnato nel tempo, una storia che ti ha permesso di scoprirti un po’ di più.
Due romanzi di fughe e ritrovamenti: Martin Eden di Jack London e Fuga senza fine di Joseph Roth. Se il mio Pietro Benati avesse un padre putativo – ma in quanto randagio non sono sicuro lo abbia – sarebbero i protagonisti di questi due classici: due ragazzi fuori posto, alla continua ricerca di un posto dove sentirsi a casa, divisi tra la tentazione di adattarsi a una vita poco soddisfacente ma sicura e priva di rischi e la necessità di essere liberi.