Racconta ancora
Ricordo ancora
Ricordo che quando tiravi un calcio a un pallone, credevo che si sarebbe allontanato nello spazio come un missile ed ero assolutamente certa che non sarebbe mai tornato giù. Era la forza con cui lo calciavi che mi sembrava sovrumana, come tutto quello che facevi. Poi acchiappavi la palla al volo e mi sorridevi gentile.
Ricordo le passeggiate nel bosco in montagna, tu che mi dicevi di camminare silenziosamente per non disturbare gli animali e mi insegnavi a riconoscere le impronte di cinghiale nel terreno, io che ti avrei seguito in capo al mondo con cieca fiducia.
Ricordo le partite a carte, fatte di mie inspiegabili vittorie e di tue smorfie stupite per la mia fortuna. Sapevo che perdevi di proposito ma non te l’ho mai detto.
Ricordo il tuo fischiettare perfettamente intonato e complesso, tanto da farti somigliare a un vero usignolo, mentre roteavi gli occhi per farmi ridere.
Ti ho mai raccontato di quando…?
Più di ogni altra cosa però, ricordo il suono della tua voce che mi chiede: “Ti ho mai raccontato di quando…?“
Ogni momento con te si trasformava in narrazione e se è vero che le storie che si ascoltano durante l’infanzia lasciano una traccia indelebile, di certo io avevo un nonno che le sapeva raccontare.
Eri stato tante cose: orfano, immigrato, bambino ribelle, collegiale, maniscalco, cacciatore, partigiano, fantino, marito, padre, giocatore di bocce, operaio. Ogni parte della tua vita si trasformava in un racconto (a volte anche più di uno), con tanto di pause a effetto e drammatiche espressioni del viso. Chissà, forse in un’altra vita eri stato un cantastorie o un teatrante, perché quando cominciavi a parlare, chiunque si fermava e si metteva in ascolto: sapevi far rallentare le persone con la voce.
C’è una foto bellissima di te a un matrimonio di famiglia, circondato da bambini, tutti rapiti dalla musica delle tue parole. Cosa non darei per ricordarmi di quale episodio avventuroso si trattasse.
La valse d’Amélie
Quando il senso di mancanza si fa troppo forte riguardo il video di un altro matrimonio: il mio. Sulle note di La valse d’Amélie scorre un’immagine dolcissima di te appoggiato al bastone, il tuo solito sorriso gentile sul viso. Avevi ascoltato le musiche di Yann Tiersen e ti erano piaciute subito: vedo ancora nitida l’immagine di te che seduto in poltrona mimi un direttore d’orchestra, facendo volteggiare in aria la mano.
Ritorno spesso a quelle melodie senza parole, solo strumenti in accordo armonioso. Dico a me stessa che amo la musica strumentale da sempre, ma in cuor mio so che la cerco perché lascia spazio alla mia memoria della tua voce che racconta ancora.
Valeria Cortese
Il nostro consiglio di lettura
Saper raccontare è dono di pochi. Saper creare la magia, alleggerire, far divertire, sorridere, emozionare. Abbiamo quindi deciso di abbinare a questo delicato racconto il libro Big Fish di Daniel Wallace, un romanzo che evoca emozioni e stati d’animo attraverso la descrizione di immagini oniriche (già, il famoso film di Tim Burton è tratto proprio da questo romanzo).
Quella di Edward Bloom è stata una vita a dir poco unica. Durante i suoi pellegrinaggi ha addomesticato un feroce gigante, ha salvato uno spirito delle acque, ha incontrato una strega capace di mostrargli il futuro. O almeno è questo che racconta. Ma chi è veramente Edward Bloom?
Una sorta di eroe mitologico o un patetico vecchio tornato a casa per trascorrervi gli ultimi giorni?
È ciò che si chiede William, giunto al capezzale del padre. Un padre da sempre assente, dal quale vorrebbe sentirsi raccontare una storia “vera”. Ma, come dice Edward, un uomo, a furia di raccontare storie, diventa quelle storie. Favola e metafora dell’esistenza, Big Fish ci ricorda che nella vita il confine tra realtà e immaginazione è molto più labile di quanto crediamo.