The World of Banksy: libri e curiosità
di Davide
– Ehi, hai visto il nuovo murales vicino a casa mia?
– Vuoi dire quello scarabocchio sul muro? Si, è veramente incredibile come riescano ancora ad imbrattare gli spazi pubblici.
– Imbrattare? Vorrai dire dipingere. Quell’edificio aveva le mura completamente rovinate e sbianchite, era una tela perfetta; ora ogni volta che ci passo davanti posso ammirare un universo dove saturno fa l’hula hoop con i suoi anelli mentre la Terra gioca a golf con la Luna. È molto meno noioso, non credi?
Questa è la conversazione che due amici nel 2014 hanno avuto davanti a un hamburger e un piatto di patatine fritte, mentre dalla finestra di un locale, intravedevano un quadro su muro, non su tela, ma “su muro”.
Murales. Street art. Graffiti.
Sono tanti i nomi con cui si può indicare questo fenomeno, proprio come sono tante le opinioni che si formano intorno ad esso e per quanto diverse, nessuno sembra esserne indifferente. C’è chi lo chiama reato e chi lo definisce un servizio alla comunità, chi un’arte morta e chi avanguardistica, chi uno sfogo ribelle e chi la volontà di esprimersi con mezzi alternativi per fare sentire la propria voce. E voi, cosa ne pensate?
The World of Banksy
Se non vi siete ancora fatti un’idea a riguardo o volete approfondire l’argomento, avete ancora tempo fino alla prossima settimana per cogliere un’occasione: infatti, fino al 24 luglio, avrete la possibilità di immergervi nel mondo di uno degli street artist più influenti degli ultimi anni alla Sala degli Stemmi della Stazione di Torino Porta Nuova, dove viene ospitata la mostra The World of Banksy – The immersive experience.
Street art e graffiti
Ma prima ancora di presentarvi l’artista e le sue opere, è necessario fare una precisazione su un comune errore di sinonimia associato a due termini in particolare. Street art e graffiti non hanno lo stesso significato: la principale differenza è che mentre il primo termine viene utilizzato per indicare una serie di opere che possono essere veicolate attraverso varie forme come la scultura, le bombolette spray e gli adesivi, il graffitismo o “writing” è indissolubilmente legato all’utilizzo della vernice e all’espressione attraverso parole o frasi.
Ciò che li accomuna invece è il luogo in cui vengono esposti, ovvero le strade, le piazze e in generale gli spazi pubblici più visitati. Altro loro punto di incontro che ha contribuito a diffondere questa confusione è il periodo in cui nascono e si sviluppano: la street art viene fatta risalire agli anni 50 quando diversi movimenti politici e attivisti nel mondo diffondono i loro ideali tra le vie delle città, metodo che si è sposato alla perfezione con le manifestazioni studentesche tra gli anni 60 e 70, fino ad arrivare ai giorni nostri con uno spirito sempre più artistico che politico; il graffitismo nasce negli anni 40, periodo in cui gli studenti statunitensi disegnavano sui muri il pupazzo di Kilroy, simbolo che i soldati della seconda guerra mondiale utilizzavano per fare satira sulla scarsità dei rifornimenti in guerra, anche se sarà tra gli anni 60 e 80 che il fenomeno raggiungerà una prima e propria maturità stilistica sui treni di Filadelfia e New York.
Ma quindi, chi è Banksy? E che cosa fa esattamente?
Sulla prima domanda in realtà non possiamo avere una risposta certa; nonostante si siano formate varie teorie sulla sua identità, a volte molto contrastanti tra loro, una delle caratteristiche che contraddistingue questo personaggio “pubblico” è proprio il suo anonimato. Dalle poche interviste che ha rilasciato, Banksy ha affermato con convinzione la sua lotta al consumismo artistico e al collezionismo ossessivo, spiegando che a molte persone interessa solamente l’idea di comprare e possedere le opere degli artisti e quindi le loro firme, disinteressandosi all’opera per quello che è e il suo messaggio. Per questo vi è l’assenza di un’identità a cui associare i suoi lavori, i quali non sono mai stati messi in vendita (almeno con il suo consenso) e sempre esposti dove tutti li possano vedere. Detto questo, molte argomentazioni sembrano indicare che provenga da Bristol, Inghilterra, e che i suoi primi passi nel mondo della street art li abbia compiuti nei primi anni 2000.
Le opere e la Guerrilla Art
Su che cosa siano e cosa vogliono significare le sue opere, è già più facile rispondere (anche se l’arte è soggettiva, eh). Banksy è uno dei massimi esponenti della “guerrilla art”, ovvero la tendenza di mostrare i propri lavori senza metterci la faccia, e del “post-graffitismo” che si differisce da quello “classico” per l’utilizzo di discipline convenzionali quali la pittura, la grafica, l’architettura, la fotografia o anche la calligrafia.
Da questa spiegazione si può capire come i messaggi di protesta dello street artist, legati a molti e vari argomenti sociali quali l’inquinamento, le guerre, la manipolazione dei media, la brutalità delle forze armate e la violenza su esseri umani e animali, ottengano un valore ancora maggiore non solo per il loro senso estetico o la disciplina con cui le opere in cui sono rinchiusi vengono create, ma anche per il luogo in cui vengono esposte e dal quale (nella maggior parte dei casi) non possono essere separate.
Uno degli esempi più lampanti che si possa fare è il suo “Girl with Baloon”, un murales proposto più volte, con più design e in più luoghi per mostrare supporto verso diverse campagne sociali come quella del muro della Cisgiordania, sul quale ha riportato ben nove opere raffiguranti bambini che cercano di superare il confine con Israele, facendo uso di paletta e secchiello o creando mongolfiere con i palloncini.
Da consumarsi preferibilmente entro il
Ma alcuni dei lavori più interessanti sono quelli che hanno una “data di scadenza”. Ebbene sì, a volte sono stati in pochi che hanno avuto la fortuna di poter vedere dal vivo alcuni esempi di guerilla art “estrema”: come quella volta che Banksy si è intrufolato al Louvre per inserire tra due quadri la sua versione della Gioconda di da Vinci in cui la modella di Leonardo sfoggiava un enorme smile al posto della faccia, segno di protesta contro la mercificazione dell’arte. O di quella volta in cui ha appeso il suo quadro raffigurante un uomo settecentesco con tanto di bomboletta spray e un muro con scritte di proteste contro la guerra al Brooklyn Museum. In entrambi i casi le opere sono state ovviamente tolte dalle pareti (anche se il museo americano ha lasciato il writer illuminista indisturbato per ben 8 giorni, attirando un sacco di persone) e Banksy si è difeso definendosi un “vandalo di qualità”.
E in Italia?
Se pensate di non poter andare così lontano per avere un’autentica esperienza “Banksyesca” (suona bene, no?), non vi preoccupate, perché la nostra penisola non è rimasta a bocca asciutta: a Venezia sul Rio Novo, canale che costeggia l’università Ca’ Foscari, vi è il “Naufrago bambino”, un murales che raffigura un fanciullo con addosso un giubbotto di salvataggio e in mano un razzo segnaletico che lascia dietro di sé una scia rosa e cammina appena al di sopra del livello dell’acqua. Un evidente segno di protesta contro le politiche sull’immigrazione adottate dal governo Italiano e un messaggio di aiuto per coloro che ci raggiungono dall’altra parte del grande lago salato.
Se questa presentazione sul vastissimo mondo della Street art, del Writing e di Banksy vi ha anche solo lontanamente incuriosito, non perdete l’occasione di visitare la mostra a lui dedicata qui a Torino. Attraverso un percorso con oltre 90 opere realizzate da vari artisti internazionali e una sezione video che ripercorre la storia di questa famosa anonima figura, potrete vivere un’esperienza più unica che rara. Perché chissà dove si presenterà Banksy la prossima volta. Magari ve lo ritroverete accanto senza saperlo!
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