Donne e Afghanistan
Cosa sta succedendo
In questi giorni, in seguito alla ritirata degli USA dal territorio Afghano (dopo circa vent’anni di presenza) i Talebani sono tornati al potere, destando una grave crisi umanitaria. Conseguentemente all’evacuazione del personale della NATO e delle forze americane, il presidio di democrazia e libertà faticosamente agognato è stato rimosso nel volgere di una notte. Questo gruppo armato islamista fondato nel 1994 aveva già guidato il paese dal 1996 al 2001; il loro dominio è fondato su una rigida interpretazione della Sharia, la legge islamica. Quando erano al potere negli anni ‘90 i talebani si erano distinti per l’imposizione di rigide limitazioni alle libertà individuali, in particolare nei confronti delle donne, e introducendo punizioni come le esecuzioni pubbliche di assassini e adulteri.
Successivamente alla fuga dei talebani da Kabul per le donne, soprattutto nelle città, si era aperto qualche spiraglio: potevano lavorare, studiare e alcune avevano raggiunto posti di responsabilità.
Oggi giorno il rischio a cui vanno incontro le donne Afghane è che vengano di nuovo private delle loro libertà e dei loro diritti.
Per comprendere meglio quanto sta accadendo vi consigliamo alcuni titoli di libri e film che approfondiscono la situazione femminile:
Mille splendidi soli di Khaled Hosseini
A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa del padre, dove lui non la porterà mai perché Mariam è una harami, una bastarda. Vorrebbe anche andare a scuola per imparare tante nuove cose, ma sarebbe inutile, le dice sua madre. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione. Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del loro funerale, le è difficile piangere.
Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini che ha perso una gamba su una mina antiuomo. Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile. Dall’intreccio di due destini, una storia che ripercorre la storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.
Sotto il burqa di Deborah Ellis
Immagina di vivere in un Paese in cui donne e ragazze non possono uscire di casa senza essere scortate da un uomo. Immagina di dover indossare abiti che coprono ogni centimetro del tuo corpo, viso compreso. Questa era la vita in Afghanistan sotto il regime dei talebani. Questa è la vita a cui si ribella Parvana, undici anni, che non ha paura di travestirsi da ragazzo per poter uscire di casa e lavorare, per se stessa, per la sua famiglia, per cambiare le cose. La sua è una vita immaginata, ma basata su testimonianze vere raccolte dall’autrice nei campi per rifugiati pakistani. Perché tutte le Parvana del mondo hanno bisogno che si parli di loro.
Lettere alle mie figlie di Fawzia Koofi
“Da noi, le figlie non sono le benvenute. Io, diciannovesima di ventitré fratelli, fui abbandonata da mia madre sotto il sole cocente dell’Afghanistan affinché morissi. Malgrado le numerose bruciature sono sopravvissuta.” La storia di una donna mite ma coraggiosa, che lotta per la causa femminile e i diritti di chi non ha voce. Con l’ascesa al potere dei talebani mise fine alla sua libertà, ma non alla sua volontà di contrastare l’ingiustizia e di realizzare i suoi sogni. Così Fawzia divenne un attivista e una donna politica. Ha lavorato per l’Unicef e per svariate Ong come difensora dei diritti umani di donne e bambini. Un libro che documenta con una chiara immagine la vita e le lotte delle donne Afghane.
L’ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l’Isis di Nadia Murad
Nell’agosto 2014 la tranquilla esistenza di Nadia Murad, ventunenne yazida, viene improvvisamente sconvolta. I militanti dello Stato Islamico irrompono nel suo villaggio, incendiano le case, radunano i maschi adulti uccidendone 600 a colpi di kalashnikov e rapiscono le donne, caricandole su autobus dai vetri oscurati. Per Nadia e centinaia di ragazze come lei, giovanissime e vergini, inizia un vero calvario. Separate dalle madri e dalle sorelle sposate, scontando l’unica colpa di appartenere a una minoranza che non professa la religione islamica, vengono private di ogni dignità di esseri umani: per i terroristi dell’ISIS saranno soltanto sabaya, schiave, merce da vendere o scambiare per soddisfare le voglie dei loro padroni.
L’abisso della prigionia, gli stupri selvaggi, le torture fisiche e psicologiche, le continue umiliazioni, insieme al dolore per la perdita di quasi tutti i parenti, vengono raccontati da Nadia – miracolosamente sfuggita agli artigli dei suoi aguzzini – con parole semplici e dirette, e proprio per questo di straordinaria efficacia. Le tremende sevizie le hanno lasciato cicatrici indelebili sul corpo e nell’anima, ma anziché ridurla al silenzio, l’hanno spinta a farsi portavoce della sua gente e di tutte le vittime dell’ISIS. Oggi Nadia è una donna libera, che ha scelto con coraggio di denunciare al mondo intero il genocidio subìto dal suo popolo, non per invocare vendetta, bensì per chiedere giustizia, affinché i colpevoli compaiano di fronte alla Corte penale internazionale dell’Aia e vengano giudicati e condannati per i loro orrendi crimini contro l’umanità. Ma il suo messaggio è soprattutto un pressante invito a non lasciarsi sopraffare dalla violenza e a conservare intatta, sempre e comunque, la fierezza delle proprie radici, e una struggente lettera d’amore a una comunità e a una famiglia distrutte da una guerra tanto assurda quanto spietata.
La sposa di Assuan di Rula Jebreal
Salua è poco più di una bambina quando i rapporti tra musulmani e cristiani copti si fanno sempre più tesi in Egitto, durante il protettorato inglese. Suo padre Mazen decide che è il momento di scappare da Assuan, la sua amata città ormai in fiamme, quando la guerra settaria è già scoppiata. La fuga sembra l’unica scelta, la strada da seguire per salvare la sua famiglia, sua moglie Iman e sua figlia Salua.
Un libro che racconta la storia emozionante di una donna in fuga dalle persecuzioni contro i cristiani nel sud dell’Egitto. Attraverso le parole di Rula Jebreal scopriamo il viaggio di Salua agli inizi del Novecento per incontrare il suo promesso sposo in Palestina, la sua battaglia per la famiglia, la casa e la vita sullo sfondo di una terra dilaniata da odi e conflitti.
La bicicletta verde di Haifaa Al-Mansour
Wadjda è una ragazzina di dieci anni che vive in un sobborgo di Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita. Pur vivendo in un mondo conservatore, Wadjda adora divertirsi, è intraprendente e si spinge sempre un po’ più in là nel cercare di farla franca. Dopo un litigio con il suo amico Abdullah, un ragazzo del vicinato con cui non potrebbe giocare, la bambina vede una bella bicicletta verde in vendita. Wadjda desidera la bici disperatamente per battere Abdullah in velocità, ma sua madre non gliela concede, poiché teme le ripercussioni di una società che considera le biciclette un pericolo per la virtù delle ragazze. Così Wadjda decide di provare a recuperare i soldi da sola.
La bicicletta verde del titolo anche in questo caso è simbolo di emancipazione e libertà, l’oggetto che rappresenta una possibile salvezza al sistema al quale altrimenti anche Wadjda sarebbe condannata, come la madre e come le compagne, un sistema fatto di oppressione mentale e personale da parte degli uomini e di gran parte delle altre donne.
Un film che racconta attraverso una metafora la storia di rivalsa femminile, facendo il quadro di una società dove le donne Afgane hanno da sempre dovuto combattere per ottenere i propri diritti.
La pellicola uscita nel 2012 e diretta da Haifaa Al-Mansour per i temi trattati e il modo di parlare della condizione della donna, è stato patrocinata da Amnesty Italia.
Come pietra paziente di Atiq Rahimi
Pellicola del 2012 in cui una giovane donna con due figlie in tenera età assiste in una misera abitazione il marito mujaeddhin, in coma in seguito a uno scontro con un compagno d’armi. La donna deve combattere con la mancanza di denaro e per questo allontana da casa le bambine affidandole a una zia che gestisce una casa di piacere. Da quel momento si sente ancora più libera di confidare al coniuge segreti inconfessabili in precedenza.
Diretto da Atiq Rahimi, “Come pietra paziente” ci racconta il coraggio di una donna coraggiosa afghana che da sola prende coscienza di sé e si prende cura della famiglia nonostante mille difficoltà.
Viaggio a Kandahar di Mohsen Makhmalbaf
Attraverso una dialettica diretta, efficace e sconvolgente, questo film girato nel 2001 racconta la difficile situazione delle donne in Afghanistan come pochi altri hanno saputo fare.
Nafas è una ragazza afgana rifugiata in Canada, dove è un’ acclamata giornalista. Un giorno riceve una lettera della sorella rimasta in Afghanistan, in cui le racconta che ormai ha perso la voglia di vivere e che intende suicidarsi.
Nafas decide allora di tornare in patria, a Kandahar, per salvarla. Il viaggio che dovrà affrontare è però molto pericoloso e Nafas si ritroverà a testimoniare in prima persona la durezza e la violenza del regime imposto dai talebani. La ragazza decide di filmare quello che vede, correndo un grande rischio, per mostrarlo al mondo intero.
Diretto da Mohsen Makhmalbaf, “Viaggio a Kandhar” è una testimonianza raccontata da un punto di vista unico e autentico.
Dove cercare informazioni
Per essere aggiornati sugli sviluppi di questi giorni inoltre vi consigliamo alcune pagine Instagram:
- Francesco Costa (@francescocosta21)
- Cecilia Sala (@ceciliasala). In particolare la diretta tra lei e Daniele Raineri e il podcast “Kabul. Perché?”)
- Will (@Will_ita)
- Martina Cera (@martine.ce)
- Lia Quartapelle (@lia.quartapelle)
- Pangea onlus (@pangeaonlus)
Il 23 agosto 2021 le trenta attiviste di Pangea Onlus e le loro famiglie sono riuscite ad imbarcarsi verso l’Italia da Kabul. Sono quasi tutte donne afgane tra i 25 e i 45 anni che in questi anni si sono battute per cercare di ottenere l’emancipazione per le loro connazionali. Finalmente un lieto fine dopo troppi giorni di terrore.
Grazie per questi graditi, preziosi consigli di lettura, e non solo.