Intruder: il ritmo dentro
Tum tum cha, tum… tum cha!
Tum tum cha, tum… tum cha!
Tum tum cha, tum… tum cha!
Poi parte lo scricchiolio, un suono sinistro, più adatto a una colonna sonora di film horror che a un pezzo pop! Un suono che lacera, che stride come le unghie sulla lavagna. Anche il coro che segue il sintetizzatore, sembra registrato all’inferno. Quando parte la voce bassa e petulante del cantante inglese, è un sinistro sussurro, sembra la voce di uno psicopatico che ti tiene in ostaggio e che non prova la minima pietà verso di te.
I know something about opening windows and doors
I know how to move quietly to creep across creaky wooden floors
I know where to find precious things in all your cupboards and drawers
Il ritornello è sostituito da un assolo stereofonico e seducente, sincopato e allucinato, suonato con maestria allo xilofono. Poi la voce si alza di un’ottava e diventa graffiante e piena di ostilità.
Slipping the clippers
Slipping the clippers through the telephone wires
A sense of isolation, a sense of isolation
Inspires me
Poi all’improvviso, dopo una pausa che accresce l’ansia, un fischio riproduce la trama, sembra di essere piombati in un western di Leone, chiudendo il brano in dissolvenza.
I am the intruder…
Il brano s’intitola Intruder e proprio come un intruso ti entra di soppiatto nella mente per non uscirne mai più.
Pura arte.
Ma allora non lo sapevo.
Nel 1980 avevo quattordici anni e mi piaceva essere spaventato. Forse avevo così paura di affrontare il mondo reale, che le paure nate da libri e film mi sembravano invitanti. Qualche anno prima avevo scoperto una raccolta di racconti di Edgar Allan Poe e avevo deciso che mi piaceva farmi terrorizzare.
“Dai, stasera è deciso, si va sul vialetto del cimitero!”
Che cosa fanno tre ragazzini che si trovano in un nebbioso paese di campagna, sprovvisto di cinema e con l’unico bar frequentato da fumosi giocatori di biliardo, una sera d’inverno? La prima cosa che ci venne in mente, fu di uscire con lo stereo portatile di mio cugino e la cassetta di Peter Gabriel, così s’intitolava il trentatré giri che lui aveva con accuratezza registrato su una C-60 per farcelo ascoltare. “È pieno di canzoni cupe ed effetti speciali da brivido!”
E così avevamo fatto.
La nebbia, il buio, la cancellata nera del cimitero e, lo ricordo ancora, un teschio disegnato da qualcuno col gesso sul muro, forse per uno scherzo sadico e puerile, avevano creato l’atmosfera alla perfezione. Tanto che, dopo dieci minuti, eravamo scappati via per la fifa che ci era venuta.
Allora, senza cellulari, era permesso stare fuori, purché rispettassimo l’orario di rientro a casa ma noi eravamo rincasati molto prima, rabbrividendo e non solo per l’umidità.
Sapevamo di essere alle soglie della nostra vita adulta e la voglia di fare bambinate, come se ci fossero date le ultime opportunità di farlo, era tanta. Quella sera a spaventarci erano bastati il nebbioso viale del cimitero di un piccolo paese, la nostra suggestione, l’attrazione per i racconti di fantasmi e i suoni di un cantante inglese che, devo ammettere, non conoscevo prima.
Peter Gabriel e la sua musica
Ho colmato in parte la mia grande ignoranza, seguendo i lavori futuri dell’artista in questione, riconoscendo che non si trattava di uno sconosciuto, ma nientemeno che di uno dei fondatori dei Genesis. Oggi, per un ragazzino è molto più facile reperire le informazioni rispetto agli anni Ottanta e mi considero giustificato.
E quel disco mi era entrato nel cuore, tanto che mi ero fatto regalare la cassetta dal cugino, fortunato possessore del vinile originale. Tanti anni fa acquistai il CD in questione, in realtà ora ho tutta la produzione discografica di Peter Gabriel, unico rammarico, non essere mai riuscito ad assistere a una sua performance dal vivo.
Ma qualcosa mancava ancora.
Dio benedica i mercatini dell’usato
Non mi ero accorto di cercarlo fino a quando non trovai sotto gli occhi l’annuncio: Vendo LP originale Peter Gabriel n.3, vinile perfetto, copertina leggermente rovinata sul bordo. Prezzo non trattabile. Non potevo crederci, il disco aveva avuto la capacità di trovarmi e non potevo farmi scappare l’offerta. Chiamai, presi accordi su luogo e orario, non discussi sul prezzo, quel disco era mio da quando avevo letto l’annuncio. Una zona scomoda e poco conosciuta, ma dopo due ore fui a casa, accesi il giradischi, misi il disco sul piatto, maneggiandolo come un oggetto sacro, e appena la puntina si poggiò, la magia ebbe luogo.
Il fruscio della traccia mi trasportò in un attimo ai miei quattordici anni e il suono, che mi era familiare per averlo ascoltato centinaia di volte su CD, tornò direttamente dal passato. Dal mio passato. Quel disco era una macchina del tempo e funzionava dannatamente bene. Intruder partì col suo inconfondibile suono di batteria, Tum tum cha, tum… tum cha! E il mio cuore prese a battere allo stesso tempo.
Mai l’acquisto di un oggetto mi aveva reso così felice.
Ancora oggi passo tra le mani la copertina di quest’album e mi scappa un sorriso. Realizzo che quell’imberbe e acerbo ragazzino, che ancora sapeva poco di musica e niente della vita e me stesso, cinquantenne dai capelli brizzolati, in realtà sono la stessa persona!
E il mio cuore non ha mai smesso di andare a tempo.
Tum tum cha, tum… tum cha!
Giorgio Papa
Il nostro consiglio di lettura
Abbiamo pensato di abbinare a questo breve racconto il romanzo di Nick Hornby Alta fedeltà, un classico intramontabile per tutti gli amanti della musica e della cultura anni ’90.
Trentacinquenne appassionato di musica pop, ex dj e attualmente proprietario di un negozio di dischi in cattive acque, Rob Fleming è pieno di interrogativi che lo inquietano. La ragazza lo ha appena lasciato; se per caso ritornasse, sarebbe capace di amarla totalmente, disperatamente come adesso? E inoltre: non farebbe meglio a smettere una buona volta di vivere in mezzo ai cd e a trovarsi un vero lavoro, a farsi una vera casa, una vera famiglia?
In una Londra irrequieta e vibrante, le avventure, gli amori, la passione per la musica, i sogni e le disillusioni di una generazione ancora piena di voglia di vivere. Commovente, scanzonato, amaro ma soprattutto molto divertente, Alta fedeltà è il libro culto della nuova narrativa inglese, diventato un grande successo internazionale.
Giorgio, bravo, bellissimo racconto; bei ricordi Win -tage
chissà, magari, se mai riusciremo a scrivere qualcosa a quattro mani…
ah, nel frattempo, in biblioteca c’è “Nick, private investigation” la mia ultima fatica…